IL FRONTE DEL PORTO / 18 maggio 2024

Glover: «Io sono quello che si dice un pubblico funzionario. Mi dicono che i contribuenti hanno il diritto di sapere che succede da queste parti, ed eccomi qui». «Politica…», fece Terry scrollando le spalle […].

Terry Malloy è il protagonista del romanzo Fronte del porto di Budd Schulberg (Sellerio), interpretato da Marlon Brando nella versione cinematografica di Elia Kazan. Glover lavora per la Commissione d’inchiesta per fare luce sulle infiltrazioni del crimine nel porto di New York. Siamo negli anni Cinquanta del secolo scorso. Non è il caso dei nostri porti di oggi, anche se nonostante la modernità vi resistono personaggi non marginali adatti a quella trama. Il principale imputato dell’attuale inchiesta penale sul porto di Genova, l’imprenditore Aldo Spinelli, rispecchia a fondo quei caratteri storici anche per la generazione di appartenenza (n.1940). La frase di Glover ci rammenta l’attenzione che va riservata alle vicende portuali, in particolare la cura per l’interesse pubblico che dovrebbe dedicare l’Autorità di Sistema Portuale (AdSP), l’amministrazione a cui compete. Mentre la risposta di Malloy, nella sua laconicità, denota la sostanza più profonda della questione.

Lo stato del porto
I porti italiani, secondo il modello landlord adottato con la legge di riforma portuale 84/1994, sorgono sul demanio marittimo che attraverso procedure di gara viene dato in concessione a imprese private. Esse sono legittimate a ricavarne i profitti dovendo tuttavia assicurare una gestione efficiente delle strutture e dei servizi del porto che vengono loro affidati. Così facendo partecipano agli obiettivi di interesse pubblico che lo Stato, attraverso AdSP, definisce per mezzo dei piani regolatori e operativi, e autorizza e sorveglia con l’attività amministrativa. Nell’interesse pubblico rientra anche il garantire un’imparziale tutela degli interessi privati in concorrenza, regolata dalle norme e che costituisce uno dei nodi gestionali più delicati. I porti infatti sono risorse scarse in quanto spazi determinati e inferiori alla domanda potenziale. Sono pertanto spazi contesi che suscitano conflitti di potere degni di una lettura geopolitica. Sono anche «monopoli naturali», non replicabili dal mercato vista la prerogativa demaniale della superficie su cui sorgono, e vista la componente di capitale fisso infrastrutturale che domina su quella operativa. Insomma, il porto è un luogo speciale con due anime: una pubblica e una commerciale. Coniugarle favorendone la fertile combinazione come prevede il modello landlord è una moderna sfida che richiede un altissimo profilo di governance. La legge la impernia in AdSP, ente pubblico, dotandola di una rilevante autonomia per mantenere i difficili equilibri e per procedere nella giusta direzione in mezzo alla complessità delle norme.
Il porto di Genova serve l’economia del nord Italia che ne costituisce il suo bacino di riferimento. La finalità è di offrire servizi efficienti all’utenza finale costituita dalle strutture produttive e distributive e dai sistemi economici locali da dove provengono (export) e sono destinate le merci (import), in linea con il mercato e senza discriminazioni di accesso sui lati dell’offerta e della domanda. Tra le finalità pubbliche, considerato l’impatto fisico e urbanistico delle opere portuali e di collegamento, rientra la regolazione dei rapporti con il territorio e la rimozione e la mitigazione delle esternalità negative sull’ambiente. Oltre alla finalità sociale riassunta nel governo del mercato del lavoro, inteso come occupazione, reddito e cultura professionale generati dalle attività del cluster marittimo-portuale. All’assetto e alla pianificazione delle opere infrastrutturali che declinano le strategie e i contenuti del porto e alla regolazione dei rapporti con il territorio è rivolto il Piano regolatore portuale, mentre alla considerazione dell’ambiente e all’efficienza energetica è rivolta la Pianificazione Energetico Ambientale. Alle strategie di sviluppo di breve e medio termine è mirato il Piano operativo triennale, così come con la stessa temporalità è redatto il Piano organico generale dei lavoratori portuali, per la ricognizione e l’analisi dei fabbisogni lavorativi. L’architettura amministrativa è dunque ampia e articolata tale da garantire una chiara e lungimirante funzione pubblica da parte del Presidente di AdSP, di nomina politica, che ne detiene i fili affiancato dal Comitato di gestione composto dai rappresentanti degli enti locali.

Regulatory capture
Alle imprese private è affidato il compito di raggiungere i risultati produttivi attesi dai piani di servizio e di sviluppo del porto, grazie alle loro strategie industriali e commerciali, agli investimenti in risorse strumentali e professionali e all’efficienza ed efficacia dell’organizzazione del lavoro portuale, per legge una loro prerogativa. Il raccordo principale in cui si articola il rapporto pubblico-privato è l’atto di concessione alle imprese terminaliste delle banchine su cui compiere le operazioni portuali, che realizza una sorta di partenariato per cui competenze e capitali privati vanno a integrare le risorse pubbliche. Ai rischi di una concessione di cattiva gestione o di mancato adempimento degli impegni, si provvede con la presentazione da parte delle imprese di programmi di attività volti all’incremento dei traffici e alla produttività del porto. Vi devono essere illustrati gli scenari di traffico e inscritti, come impegni esigibili, gli obiettivi produttivi, gli investimenti reali e l’occupazione diretta e indiretta. Questi programmi, essenziali per il rilascio della concessione o della proroga, dovrebbero essere oggetto di costante monitoraggio e aggiornamento da parte dell’Autorità. Il mancato rispetto degli impegni comporta tempestivi interventi di correzione o integrazione dei programmi, sino anche alla revoca della concessione e l’affidamento ad altra impresa.
Torniamo negli Usa agli anni Settanta del secolo scorso. L’espressione regulatory capture (più prosaicamente in italiano «cattura normativa») compare nella letteratura economica oltreatlantico per descrivere e spiegare «quando e perché un’industria è in grado di utilizzare lo Stato per i propri scopi» (George Stigler). Ovvero, perché un’agenzia di regolamentazione statale (authority, organismi di controllo, organi di sorveglianza), istituita per agire per ragioni e nell’interesse pubblico, agisce invece a vantaggio delle aziende e degli interessi economici dominanti nel settore oggetto della regolamentazione. Si tratta di un fenomeno che si realizza oscillando dalle pratiche legali, in cui i lobbisti del Parlamento e gli avvocati presso le authority ottengono per conto delle imprese clienti cambiamenti delle regole o interpretazioni controvertibili a loro vantaggio, sino alle pratiche che stanno sul confine mobile e sdruccioloso della liceità e della discrezionalità amministrativa, con cui le imprese forzano artatamente le regole perché siano interpretate e applicate a proprio favore. Oltre il perimetro della regolamentazione, ci sono infine le condotte premeditatamente illegali, come la corruzione dei pubblici uffici. Esse non mirano a trasformare o a influenzare le regole ma a violarle nell’applicazione puntuale grazie a un accordo delittuoso tra le parti.

La vicenda giudiziaria genovese
L’indagine che ha causato il terremoto giudiziario di Genova, con gli arresti del presidente della Regione Toti, dell’ex presidente del Porto Signorini e di alcuni imprenditori, tra cui il principale è Spinelli dell’omonimo gruppo che comprende autotrasporto, terminal portuali, magazzini e depositi e agenzia marittima, verte principalmente su quella che secondo i pm è latipica transazione della corruzione: l’imprenditore che versa o spende soldi a favore del politico e/o del funzionario pubblico per ottenerne decisioni a proprio illegittimo vantaggio. Per restare nella figurazione della regulatory capture Spinelli aveva già la fama di essere un accanito «cacciatore» di norme a proprio favore, ma stavolta è accusato di essere un «bracconiere» con il fucile fumante. Le prede nascoste nel suo carniere riguarderebbero un duplice ordine di interessi privati per i quali avrebbe corrotto Toti e Signorini: uno, ottenere da Toti l’esclusiva disponibilità di una spiaggia libera per un complesso residenziale di sua proprietà; due, ottenere da Signorini con il sostegno di Toti, che ne è lo sponsor politico, la proroga trentennale della concessione portuale del Terminal Rinfuse, affidato a una società di Spinelli con Aponte (Msc) socio, insieme ai riempimenti delle calate prospicienti (con l’estensione fisica, perciò, della superficie concessa).
La legge non vieta al politico di ricevere denari da chi, cittadino o impresa, abbia beneficiato o trarrà benefici da atti amministrativi emessi sotto il suo governo. La legge non si preoccupa del «fumus» che tali atti possono sollevare, anzi si ritiene che la trasparenza serva a evitare i sospetti. Il punto è la legittimità degli atti precedenti o conseguenti la donazione. Ovviamente lo stesso non vale per un funzionario pubblico. In assoluto, qualsiasi accettazione in denaro gli è proibita, ma anche regali o altre utilità oltre il «modico valore», in via orientativa, di 150 euro. Toti, per favorire la soluzione della spiaggia da riservare al residence avrebbe ricevuto somme versate in diverse circostanze di tempo da imprese del Gruppo Spinelli quali liberi contributi.
Per quanto riguarda la proroga della concessione del Terminal Rinfuse l’interesse di Spinelli è più complesso. Spinelli aveva chiesto una proroga di trent’anni nonostante per ammissione pubblica sua e del socio Aponte l’obiettivo fosse di destinare quanto prima il Terminal ai container, visto che i due soci hanno già una concessione per questo tipo di merce rispettivamente a Levante, il Terminal Bettolo di Msc, e a Ponente il Genoa Port Terminal di Spinelli. Anche Signorini si era già espresso in questo senso. L’avvio del cantiere per la nuova diga rendeva possibile prevedere in pochi anni la nuova agibilità del Terminal Rinfuse per le navi container. Pertanto, un atto di proroga di trent’anni non era lecito per una attività di imminente dismissione, perché la nuova funzione del terminal avrebbe dovuto essere oggetto di una nuova procedura concorsuale. Tuttavia, l’interesse precipuo di Spinelli era di ottenere la proroga più lunga possibile per fare aumentare in proporzione il valore della società che aveva messo sul mercato, sapendo inoltre che sarebbe stato di fatto un titolo decisivamente influente per ottenere la nuova concessione. Per raggiungere il suo obiettivo Spinelli avrebbe, secondo i pm, corrotto in maniera sistematica e palese Signorini, che non si sarebbe sottratto alle offerte di Spinelli di soldi, regali e utilità varie per sé e per altri, chiedendogli, anzi, personalmente. Uno spettacolo ignominioso per l’interesse pubblico, prima ancora che penalmente rilevante.
L’approvazione di Signorini è giunta al termine di una procedura che ha coinvolto uffici e organi dell’amministrazione, subendo modifiche solo marginali rispetto all’atto preventivato dall’intesa tra corruttore e corrotto. Ciò ha rivelato una soggezione dell’amministrazione di fronte a una palese violazione della legge gravida di conseguenze sociali. Quando si verifica una corruzione dell’autorità di questa rilevanza, secondo la stessa teoria economica, si prospettano gravi rischi di «fallimento dello Stato», ossia la perdita di autorevolezza dell’istituzione quale regolatore sociale. Inoltre, è emersa anche la forte pressione politica sulla decisione di Signorini e del comitato di gestione esercitata da Toti e dal Sindaco-Commissario Marco Bucci, sinora non indagato, entrambi solidali in favore delle intenzioni e degli interessi di Spinelli che li ricambiava con generosi contributi elettorali. Bucci è stato il Commissario straordinario per la ricostruzione del ponte Morandi, ma ha mantenuto sinora, per volontà sua e del governo, questo ruolo esteso a tutte le grandi opere in corso in porto e in città, concentrando nelle sue sole mani un potere decisionale senza precedenti in deroga alle leggi in materia di appalto e di spesa pubblica. L’ordinanza del Giudice istruttore e la trascrizione delle intercettazioni hanno svelato infine che anche dove non ci sono state pratiche illegali, la gestione politica e amministrativa del porto era degradata dall’attività di consorterie faziose.
La realistica fenomenologia della regulatory capture in questa circostanza si è manifestata in un assalto alla diligenza. L’intervento della Procura ha dovuto supplire l’incapacità di AdSP di mantenere i rapporti con le imprese entro i binari della legalità. Un evento criminale, certo eccezionale, ma qual è lo stato di salute dell’amministrazione sotto questo profilo? Quale il grado di sensibilità dell’opinione pubblica?
Si dà per scontato nella teoria economica che i cittadini comuni siano meno motivati rispetto alle imprese (oltre che meno dotati di risorse) a avere un interesse permanente nell’intervenire sulle regole dell’autorità e sul suo funzionamento, ma l’allarme sociale per questa vicenda genovese risuona anche per la scarsa consapevolezza dimostrata dai principali media. Dopo il clamore degli arresti, è tempo di aprire un dibattito pubblico sullo stato del porto, quello dell’amministrazione chiamata a gestirlo per l’interesse del cittadino, e sullo stato della società che nel porto ha la sua risorsa vitale.